Che cos’è l’impronta ecologica e come ridurla: piccoli gesti per un grande cambiamento

Che cos’è l’impronta ecologica e come ridurla: piccoli gesti per un grande cambiamento

Impronta ecologica: definizione, storia e strumenti per misurarla

Comprendere l’impronta ecologica è il primo passo per riconoscere l’impatto delle nostre abitudini quotidiane sull’ambiente e su chi lo abita. Tra i tanti modi per ridurla, anche la scelta dell’alloggio durante le vacanze può fare la differenza.Comprendere l’impronta ecologica è il primo passo per riconoscere l’impatto delle nostre abitudini quotidiane sull’ambiente e su chi lo abita. Tra i tanti modi per ridurla, anche la scelta dell’alloggio durante le vacanze può fare la differenza.

Il concetto di impronta ecologica (in inglese “ecological footprint”) è stato sviluppato all’inizio degli anni Novanta dall’ecologista Mathis Wackernagel, all’epoca dottorando presso la University of British Columbia, in collaborazione con il suo docente, il professore di ecologia William Rees. I risultati delle loro ricerche sono stati sistematizzati e divulgati nel volume “Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact” on the Earth, pubblicato nel 1996, che ha rappresentato un autentico spartiacque nel pensiero ecologico contemporaneo.

Per la prima volta, infatti, veniva proposto un metodo quantitativo e comparabile per misurare la pressione che le attività umane esercitano sugli ecosistemi del pianeta, in un’epoca — quella tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta — in cui si andava gradualmente consolidando, anche fuori dagli ambienti accademici, una maggiore consapevolezza della portata antropica delle trasformazioni ambientali e della crescente insostenibilità dei modelli di sviluppo industriale, agricolo e urbano.

Impronta ecologica: significato e come si calcola

L’impronta ecologica è uno strumento di analisi ambientale tanto sofisticato quanto accessibile nei suoi fondamenti, concepito per quantificare il carico ecologico generato dall’uomo, rapportandolo alla capacità rigenerativa della biosfera, ossia alla disponibilità effettiva di superfici terrestri e marine in grado di sostenere tali consumi. A livello operativo, misura la quantità di superficie biologicamente produttiva necessaria per produrre tutto ciò che consumiamo (cibo, energia, materie prime, beni e servizi) e per assorbire i rifiuti generati, in particolare le emissioni di anidride carbonica, che costituiscono la quota prevalente dell’impatto ambientale globale.

A partire dal 1999, il WWF ha adottato questo metodo come riferimento all’interno del suo “Living Planet Report” (un autorevole rapporto periodico sullo stato di salute della biodiversità e degli ecosistemi globali), aggiornando regolarmente il calcolo dell’impronta ecologica e rendendolo uno degli indicatori cardine per valutare lo stato di salute del pianeta, la sostenibilità dei modelli di sviluppo e il divario crescente tra il consumo umano di risorse e la capacità della Terra di rigenerarle.

Il significato dell’impronta ecologica va dunque ben oltre la mera raccolta di dati ambientali o il semplice indicatore di sostenibilità, poiché racchiude in sé un valore etico e sistemico che interroga profondamente il nostro modello di sviluppo economico, il nostro stile di vita e, più in generale, il rapporto che intratteniamo con la natura. Comprendere il significato autentico di questo indicatore significa accettare il fatto che viviamo in un pianeta dalle risorse finite, la cui resilienza dipende dalla nostra capacità di ridurre la pressione esercitata sui suoi ecosistemi.

Ma come avviene il calcolo impronta ecologica e perchè può rappresentare un buon punto di partenza per apportare dei cambiamenti concreti al proprio stile di vita?

Calcolo impronta ecologica: come misurare concretamente il nostro impatto 

Pur poggiando su un modello teorico di notevole complessità scientifica, il calcolo dell’impronta ecologica può essere reso accessibile anche a cittadini, imprese e istituzioni, grazie a strumenti digitali e piattaforme interattive sviluppate da centri di ricerca e organizzazioni ambientali. Questi strumenti raccolgono e analizzano una varietà di dati relativi ai comportamenti di consumo quotidiano, tra cui il fabbisogno energetico (elettricità, gas, riscaldamento), la dieta alimentare (con particolare attenzione all’origine e alla composizione degli alimenti), le abitudini di mobilità (uso dell’auto privata, trasporto pubblico, voli aerei), la tipologia e frequenza degli acquisti, la produzione e gestione dei rifiuti, nonché le caratteristiche strutturali dell’abitazione (dimensioni, isolamento termico, fonti energetiche impiegate).

Tali informazioni vengono poi elaborate attraverso un sistema di fattori di conversione che traducono le attività umane in una stima della superficie biologicamente produttiva necessaria a sostenerle, espressa in ettari globali (gha): un’unità di misura standardizzata che consente il confronto tra territori, popolazioni e sistemi economici diversi, compensando le differenze di produttività ecologica a livello locale. Un ettaro globale rappresenta infatti un ettaro di terra o mare con una media mondiale di produttività biologica, utile per calcolare in modo uniforme la pressione esercitata sull’ambiente.

Nel dettaglio, il calcolo impronta ecologica è articolata in sei componenti principali:

  1. Superficie coltivabile, necessaria per la produzione alimentare e di fibre vegetali;
  2. Pascoli, utilizzati per l’allevamento di bestiame;
  3. Foreste, sia per la produzione di legname che per l’assorbimento della CO₂;
  4. Aree marine, impiegate per la pesca e le attività connesse alla filiera ittica;
  5. Suolo edificato, ovvero infrastrutture, strade, edifici e insediamenti umani;
  6. Capacità di assorbimento del carbonio, che rappresenta la superficie di foreste (o altri ecosistemi) necessaria ad assorbire le emissioni di anidride carbonica non neutralizzate da altri mezzi.

Il risultato di questo calcolo permette di confrontare l’impronta ecologica complessiva di un individuo, di una comunità o di una nazione con la biocapacità del territorio in esame, ossia con la quantità di risorse naturali effettivamente disponibili per rigenerare ciò che viene consumato e per assorbire i rifiuti generati. Quando l’impronta supera la biocapacità si genera un deficit ecologico, ovvero una situazione in cui la domanda di risorse ecologiche eccede l’offerta sostenibile del sistema naturale. Se protratto nel tempo, questo squilibrio conduce a fenomeni strutturali come il degrado degli ecosistemi, la perdita di biodiversità, l’erosione dei suoli e il cambiamento climatico, rendendo evidente la necessità urgente di rivedere i modelli di produzione e consumo su scala globale.

Le cause principali di un’impronta ecologica elevata

Alla radice dell’elevata impronta ecologica che caratterizza la maggior parte dei Paesi cosiddetti “ad alto reddito” si collocano complesse dinamiche sistemiche di natura economica, culturale e tecnologica, che alimentano un modello di sviluppo energivoro, iperproduttivo e largamente insostenibile nel lungo periodo.

Tra le principali cause strutturali si annovera, innanzitutto, il massiccio ricorso a fonti fossili, quali carbone, petrolio e gas naturale, utilizzate per la produzione di energia elettrica, il riscaldamento, i trasporti e i processi industriali, con conseguente incremento delle emissioni di gas climalteranti e del fabbisogno di assorbimento da parte degli ecosistemi naturali, in primis le foreste.

Un secondo ambito critico è rappresentato dal sistema agroalimentare globale, dominato da pratiche di agricoltura intensiva e allevamento industriale, che implicano un uso eccessivo di acqua dolce, fertilizzanti chimici, suolo fertile e input energetici, contribuendo significativamente alla deforestazione, alla perdita di biodiversità e alle emissioni di metano e protossido di azoto, gas serra dal potenziale riscaldante elevato.

Anche il settore della mobilità gioca un ruolo determinante nel determinare l’impronta ecologica complessiva: l’affidamento prevalente al trasporto su gomma e a quello aereo, uniti a una diffusa inefficienza del trasporto pubblico locale in molte aree urbane, contribuisce ad accrescere il consumo di carburanti fossili e le emissioni pro capite, aggravando l’“impronta carbonica” individuale e collettiva.

A questi fattori si somma poi una cultura dei consumi fortemente improntata all’acquisto impulsivo, alla sostituzione frequente di beni ancora funzionanti (complice anche il fenomeno dell’obsolescenza programmata) e all’adozione di modelli “lineari” di produzione e smaltimento, che generano enormi volumi di rifiuti e determinano una crescente domanda di materie prime, spesso estratte in modo invasivo e distruttivo per gli equilibri ecologici locali.

Ulteriori pressioni derivano dall’urbanizzazione incontrollata, che comporta un progressivo consumo di suolo biologicamente produttivo a favore di infrastrutture impermeabili, con conseguente perdita di habitat naturali e riduzione della capacità ecosistemica di rigenerare risorse. In parallelo, l’accelerazione dei fenomeni di degrado ambientale, come la desertificazione, l’inquinamento dei suoli e delle acque, l’acidificazione degli oceani e la distruzione di ecosistemi chiave come le foreste tropicali, le torbiere e le barriere coralline, compromette ulteriormente la capacità del pianeta di fornire i “servizi ecosistemici” essenziali alla sopravvivenza umana e alla stabilità climatica.

Questo squilibrio crescente tra consumo e rigenerazione trova una sintesi efficace in un indicatore temporale che avremo tutti sentito citare, almeno una volta: l’Earth Overshoot Day, ovvero la data in cui l’umanità esaurisce il “budget ecologico” annuale messo a disposizione dalla natura. In termini concreti, il momento in cui la domanda di risorse naturali (cibo, legname, acqua, energia) e di servizi ecosistemici (come l’assorbimento delle emissioni di carbonio) supera la capacità del pianeta di rigenerarli nel corso dello stesso anno. Dal giorno successivo e fino alla fine dell’anno, l’intero consumo globale si traduce così in un prelievo non sostenibile, che erode il capitale naturale e compromette la resilienza degli ecosistemi. Ad esempio, nel 2024, l’Earth Overshoot Day è caduto il 2 agosto, il che significa che l’umanità ha vissuto “a credito ecologico” per quasi cinque mesi, dipendendo da risorse che la Terra non riesce a rigenerare in tempi compatibili con il ciclo naturale.

La buona notizia è che esistono numerose strategie per ridurre l’impronta ecologica globale – alcune sono promosse da governi e istituzioni attraverso politiche pubbliche e investimenti strutturali, altre possono essere adottate quotidianamente da ciascuno di noi. Anche le piccole azioni individuali, infatti, quando diffuse su larga scala, possono contribuire in modo significativo ad alleggerire la pressione sugli ecosistemi e ad avvicinarci a uno stile di vita complessivamente più sostenibile.

10 strategie quotidiane per ridurre la propria impronta ecologica

Sebbene l’impronta ecologica sia il risultato di dinamiche economiche, sociali e culturali diffuse su scala globale, la possibilità di intervenire efficacemente sulla riduzione della pressione ambientale non è prerogativa esclusiva delle istituzioni o delle grandi imprese, bensì riguarda da vicino ogni individuo, ogni nucleo familiare e ogni comunità locale. In questo senso, i comportamenti quotidiani che adottiamo — spesso in maniera automatica e inconsapevole — rappresentano un campo d’azione fondamentale, in cui anche modifiche apparentemente minime possono produrre effetti cumulativi significativi.

Di seguito, dieci strategie pratiche e accessibili che, se attuate con continuità e consapevolezza, possono contribuire concretamente ad abbattere la propria impronta ecologica individuale, riducendo il carico esercitato sugli ecosistemi e promuovendo una relazione più armoniosa con il pianeta.

1. Prediligere una dieta a base vegetale, stagionale e locale

Ridurre in modo significativo il consumo di carne rossa e prodotti di origine animale, privilegiando invece alimenti vegetali provenienti da coltivazioni biologiche e locali, consente non solo di abbattere le emissioni di gas serra legate alla produzione intensiva di carne e derivati, tra le principali responsabili della produzione di metano e protossido di azoto, ma anche di diminuire l’uso di acqua, pesticidi e fertilizzanti chimici, contribuendo così alla salvaguardia del suolo, alla tutela della biodiversità e alla rigenerazione degli ecosistemi agricoli. Inoltre, scegliere prodotti locali e di stagione diminuisce inoltre l’energia necessaria per il trasporto e la conservazione degli alimenti, mentre evitare lo spreco alimentare, attraverso una pianificazione consapevole dei pasti e il corretto riutilizzo degli avanzi, contribuisce a contenere gli sprechi lungo l’intera filiera.

2. Scegliere mezzi di trasporto a basso impatto

Il settore dei trasporti rappresenta una delle fonti principali di emissioni di CO₂, soprattutto nei contesti urbani. Per ridurre l’impronta ecologica è importante preferire modalità di spostamento più sostenibili: camminare, andare in bicicletta, utilizzare il trasporto pubblico, o partecipare a sistemi di car sharing e car pooling. Quando l’auto è indispensabile, optare per veicoli ibridi o elettrici può fare una grande differenza. Anche ridurre il numero di viaggi in aereo e scegliere forme di turismo più locali e slow può incidere positivamente sull’impronta ecologica dei singoli cittadini.

3. Ottimizzare il consumo energetico domestico

Le abitazioni private sono responsabili di una quota significativa del consumo energetico globale. Interventi mirati, come l’installazione di pannelli solari, l’isolamento termico delle pareti, il doppio vetro alle finestre, l’adozione di lampadine a LED e l’uso consapevole degli elettrodomestici (ad esempio, utilizzandoli a pieno carico e in fascia oraria appropriata), riducono le emissioni legate alla climatizzazione e all’elettricità. Piccoli accorgimenti quotidiani come spegnere le luci inutilizzate, scollegare i dispositivi in standby possono contribuire nel tempo a un uso più responsabile dell’energia, incidendo positivamente sia sulla bolletta che sul carico ambientale.

4. Evitare gli acquisti compulsivi e privilegiare beni durevoli

La nostra impronta materiale è strettamente legata non solo alla quantità, ma anche alla qualità e alla durata dei beni che acquistiamo. Optare per prodotti durevoli, riparabili e progettati per resistere nel tempo consente di ridurre in modo significativo il ricorso a nuove risorse naturali e di contenere la produzione complessiva di rifiuti prodotti. Informarsi sull’origine, sui materiali e sull’intero ciclo di vita degli oggetti che utilizziamo quotidianamente, adottare un approccio consapevole agli acquisti e improntato al “comprare meno, ma meglio”, significa opporsi attivamente alla logica dell’obsolescenza programmata, promuovendo nel contempo il valore dell’artigianato, il sostegno all’economia locale e una cultura della qualità anziché della quantità.

5. Ridurre i rifiuti e adottare pratiche di economia circolare

Strettamente collegato al punto precedente, adottare un approccio circolare alla gestione dei materiali post-consumo significa intervenire sin dalle fasi iniziali del ciclo di vita degli oggetti, puntando alla riduzione dei rifiuti alla fonte, al riuso creativo e al riciclo consapevole. Privilegiare prodotti privi di imballaggi superflui, utilizzare articoli riutilizzabili, come borracce in acciaio, contenitori per alimenti lavabili e sacchetti in tessuto, compostare correttamente gli scarti organici e praticare con attenzione la raccolta differenziata sono tutte azioni concrete che contribuiscono a limitare in modo significativo la quantità di materiali destinati alla discarica o all’incenerimento. Non meno utile è poi partecipare ad attività collettive come le giornate dedicate alla pulizia di parchi, spiagge o aree verdi, organizzate ormai in molte città italiane, che tra le altre cose sono anche un importante strumento per rafforzare il senso di responsabilità condivisa e alimentare un legame più profondo con il territorio e gli ecosistemi che abitiamo.

6. Consumare acqua in modo responsabile

In un contesto globale segnato da crescenti fenomeni di siccità e stress idrico, la gestione consapevole dell’acqua rappresenta una delle sfide ambientali più urgenti e cruciali, a cui siamo tutti chiamati a rispondere. Installare dispositivi a basso flusso, utilizzare lavatrici e lavastoviglie solo a pieno carico, preferire docce brevi al posto di lunghi bagni o recuperare l’acqua piovana per usi non potabili, come l’irrigazione o la pulizia degli spazi esterni, sono tutte azioni che possono (davvero) fare la differenza – per il nostro pianeta, ma anche per il nostro portafoglio. Al tempo stesso, l’impronta idrica individuale non si limita soltanto al consumo diretto: è qui che entra in gioco il concetto di acqua “virtuale”, ossia l’acqua impiegata nei processi di produzione dei beni e servizi che consumiamo quotidianamente. Ad esempio, la produzione di un paio di jeans richiede fino a 10.000 litri d’acqua, consumata lungo tutta la filiera produttiva, dalla coltivazione del cotone alla lavorazione e confezionamento. Anche in questo caso, è quindi fondamentale scegliere con consapevolezza i tessuti e i prodotti agricoli che – a parità di qualità e prestazioni – necessitano il minor quantitativo di risorse idriche.

7. Sostenere modelli economici etici e sostenibili

Ogni acquisto rappresenta un voto per il tipo di futuro che desideriamo contribuire a costruire. Sostenere aziende che operano con trasparenza lungo tutta la filiera, rispettano i diritti dei lavoratori, promuovono il benessere animale e gestiscono responsabilmente le risorse naturali significa incentivare un’economia che non si fonda sull’estrazione indiscriminata e sullo sfruttamento ambientale, ma sull’eguaglianza e la responsabilità sociale e ambientale. Ad esempio, optare per prodotti certificati con etichette ambientali e sociali riconosciute (come Fair Trade, Ecolabel, FSC, Rainforest Alliance) è un ottimo modo per rafforzare la domanda di un mercato più equo e sostenibile, orientato al rispetto dell’ambiente e delle persone.

8. Privilegiare il riuso, lo scambio e la condivisione

Applicare con rigore la regola delle 3R — ridurre gli sprechi, riutilizzare ciò che si possiede e riciclare correttamente i materiali – ad esempio rimettendo in circolo vestiti, mobili, elettrodomestici e strumenti tramite mercatini dell’usato, negozi di seconda mano, piattaforme online di scambio o sharing economy (come i gruppi di dono o le biblioteche degli oggetti) o prediligendo il fai-da-te e il riciclo creativo sono tutti ottimi modi per ridurre la pressione sulle risorse e promuove modelli di consumo più collaborativi e partecipativi.

9. Educare se stessi e gli altri alla sostenibilità

La consapevolezza rappresenta il primo, fondamentale passo verso il cambiamento. Per intraprendere un percorso verso la riduzione della propria impronta ecologica, è essenziale informarsi in modo approfondito sulle problematiche ambientali, partecipare a eventi, corsi e attività di sensibilizzazione, leggere libri e seguire fonti affidabili, e dunque sviluppare un pensiero critico, orientando così le proprie scelte in modo più consapevole e mirato. Inoltre, è altrettanto importante condividere ciò che si è appreso con gli altri, che sia all’interno della propria famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro, o sui social media. Diffondere la conoscenza sulla sostenibilità è un passo in avanti fondamentale per creare una cultura collettiva orientata al rispetto dell’ambiente, costruendo comunità più resilienti, responsabili e proiettate verso un futuro più sostenibile.

10. Calcolare la propria impronta ecologica

Misurare il proprio impatto ambientale è un atto di responsabilità. Esistono numerosi strumenti online, come il calcolatore messo a disposizione dal Global Footprint Network, che permettono di stimare la propria impronta ecologica partendo da dati semplici e concreti. Conoscere il proprio profilo di consumo consente infatti non solo di quantificare le proprie abitudini, ma anche di identificare i settori su cui intervenire prioritariamente per ridurre l’impatto. In altre parole, un modo per passare dalla consapevolezza all’azione. Inoltre, quando non è possibile ridurre ulteriormente la propria impronta ecologica, o si desidera fare un ulteriore passo per proteggere la salute del pianeta, esistono diverse opzioni per compensarla, come sostenere programmi certificati di riforestazione, conservazione degli ecosistemi e riduzione delle emissioni, che agiscono direttamente sulla rigenerazione ambientale e sulla tutela della biodiversità globale.


La consapevolezza dell’impronta ecologica come strumento di misurazione del nostro impatto sul pianeta rappresenta solo il primo passo di un cammino più ampio, che dovrebbe condurre non soltanto alla riduzione dei danni ambientali già in atto, ma a un vero e proprio cambio di paradigma culturale e sociale, orientato alla rigenerazione dei sistemi naturali, alla cooperazione tra comunità umane e alla costruzione di economie locali resilienti e solidali.

In tal senso, agire a livello individuale è fondamentale, ma ancor più efficace è quando l’impegno per la sostenibilità si estende anche a imprese, organizzazioni e strutture ricettive che, come il Forte Village Resort, scelgono di integrare principi ecologici e buone pratiche ambientali in ogni aspetto della propria attività, offrendo così un modello virtuoso di responsabilità condivisa.

L’impegno per l’ambiente e la sostenibilità del Forte Village Resort

Immerso in oltre 50 ettari di verde caratterizzati da un’incredibile biodiversità naturale, a pochi passi da alcune delle spiagge più belle della Sardegna, il Forte Village Resort – struttura a cinque stelle da poco eletta, per la ventiseiesima volta di fila, come “resort più bello del mondo” ai World Travel Awards 2024 – si riconferma un vero e proprio punto di riferimento anche per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e la promozione di iniziative concrete volte a ridurre l’impatto dei suoi servizi sugli ecosistemi circostanti.

Un impegno costante che gli ha permesso di ottenere, per due anni consecutivi (nel 2023 e nel 2024), la rinomata certificazione “Green Resort” del GSTC (Global Sustainable Tourism Council), uno dei più prestigiosi riconoscimenti nel settore del turismo sostenibile. Un premio che viene assegnato esclusivamente a strutture che aderiscono a rigorosi criteri ambientali, sociali ed economici, con particolare enfasi sulle azioni concrete finalizzate a ridurre l’impatto ecologico e promuovere un turismo responsabile.

Tra le numerose iniziative intraprese dal Resort di Santa Margherita di Pula per promuovere, da un lato, la sostenibilità ambientale e la conservazione degli ecosistemi e, dall’altro, minimizzare la propria impronta ecologica, troviamo infatti:

  • Trattamento e riutilizzo delle acque reflue: ogni giorno vengono purificati circa 800 metri cubi di acque reflue “grigie” provenienti dalle strutture del resort. Una volta trattate, queste acque vengono utilizzate per l’irrigazione delle aree verdi e dei giardini, riducendo notevolmente il consumo totale di acqua potabile.
  • Raccolta delle acque piovane: il resort ha investito in un sistema avanzato per la raccolta delle acque piovane, con una capacità totale di stoccaggio di oltre 350.000 metri cubi, pari a circa 141 piscine olimpioniche. Questa acqua viene utilizzata principalmente per l’irrigazione, contribuendo ulteriormente alla conservazione delle risorse idriche.
  • Uso di energie rinnovabili: per ridurre la dipendenza da fonti energetiche tradizionali, il Forte Village ha installato impianti fotovoltaici su numerose strutture, tra cui il centro congressi, teatro di lanci di prodotti e altri eventi MICE, e pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria negli hotel Borgo, Palme e Bouganville. Il resort si avvale poi di un sistema di illuminazione a LED con temporizzatori per le aree verdi, gli spazi interni e le zone pubbliche.
  • Mobilità sostenibile: all’interno degli spazi del resort vige una rigorosa politica “car-free”, il che significa che la circolazione di auto all’interno della struttura è vietata, mentre viene promosso l’utilizzo di biciclette e auto elettriche per gli spostamenti (nei parcheggi sono state disposte diverse stazioni di ricarica).
  • Tutela della biodiversità: il Forte Village è immerso in oltre 50 ettari di verde, caratterizzati da una biodiversità ricca e variegata, che viene attentamente protetta attraverso pratiche di giardinaggio ecocompatibili, come l’utilizzo esclusivo di fertilizzanti naturali e l’adozione di un sistema a base biologica per il controllo dei parassiti e delle malattie e per mantenere l’equilibrio ecologico dell’area.
  • Politiche di gestione dei rifiuti: la struttura ha da anni adottato una rigorosa politica di gestione dei rifiuti, con un sistema di raccolta differenziata che consente di separare e riciclare il più possibile, e l’adozione di pratiche di compostaggio e di recupero delle risorse, come la carta, la plastica e il vetro.
  • Cucina sostenibile:la promozione della sostenibilità passa anche da quello che decidiamo di mettere nel piatto. I ristoranti gourmet e stellati del Forte Village si impegnano ad utilizzare, per quanto possibile, ingredienti locali e biologici per la preparazione dei pasti, alcuni dei quali coltivati direttamente nell’orto adiacente alla struttura. Questa scelta contribuisce in modo attivo alla riduzione delle emissioni legate al trasporto alimentare, oltre a supportare l’economia, l’impiego e le colture tradizionali locali.
  • Conservazione della costa e tutela degli ecosistemi marini: non da ultimo, il Resort si impegna attivamente nella protezione della costa che si estende di fronte alle sue strutture, adottando interventi di protezione mirati e reversibili per contrastare l’erosione costiera. In particolare, ha realizzato un sistema di isole artificiali, costruite con materiali naturali combinati con soluzioni ecocompatibili e innovative. Queste isole non solo proteggono la spiaggia dai fenomeni erosivi, ma creano anche nuovi ecosistemi marini, favorendo la biodiversità locale e rispettando il paesaggio naturale. Come se non bastasse, partecipa attivamente al progetto Fishing For Litter, un’iniziativa nata dalla collaborazione con Ogyre, startup italiana focalizzata sulla tutela degli ecosistemi marini, che coinvolge le comunità di pescatori locali nella raccolta dei rifiuti marini intrappolati nelle reti da pesca in alto mare. L’obiettivo è quello di raccogliere 4 milioni di kg di rifiuti entro la fine del 2025. Un’iniziativa che contribuisce significativamente alla salvaguardia del mare della Sardegna, tra i più belli e incontaminati d’Italia, e promuove un ambiente marino più sano e privo di inquinamento

Per maggiori informazioni sui progetti e sulle iniziative prese da Forte Village Resort per ridurre la sua impronta ecologica e promuovere la tutela dell’ambiente, o per richiedere una prenotazione, contattare il numero +39 0709218818, o scrivere una mail a holiday@fortevillage.com.

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