Usanze e curiosità del Capodanno sardo

Usanze e curiosità del Capodanno sardo

Il Capodanno sardo, all’insegna delle tradizioni di buon augurio

Da settembre a dicembre: l’ultimo giorno dell’anno in Sardegna, un favoloso “mondo antico”.

Subito dopo Natale, Capodanno è uno dei momenti più attesi dell’anno, quel giorno speciale in cui salutare l’anno vecchio e dare il benvenuto a quello nuovo, carichi di buoni propositi, sogni e speranze.

Anche in Sardegna, oggi il 31 dicembre si festeggia con l’immancabile Cenone, il brindisi augurale a mezza notte e i fuochi di artificio.

Se, però, torniamo indietro nel tempo, scopriamo come il Capodanno sardo fosse unico e differente, innanzitutto perchè il Cabudanni (o Caput Anni) si teneva a settembre.

Ciò era dovuto, da una parte, alla dominazione bizantina e, dall’altra, alla forte vocazione agropastorale dell’isola.

Secondo il calendario bizantino, infatti, l’anno cominciava il 1° settembre e finiva il 31 agosto; inoltre, settembre era il mese in cui si svolgeva l’ultima fase delle attività pastorali e agricole prima del periodo di riposo invernale.

E in una società profondamente legata alla terra e ai suoi ritmi, il Capodanno settembrino era un periodo di speranze e pronostici per una buona annata: i contadini osservavano la natura, la interpretavano, e concentravano i rituali volti alla salute degli animali e al buon raccolto.

Le credenze, i riti popolari e le tradizioni del Capodanno sardo a dicembre

Con lo spostamento del Calendario, anche in Sardegna il Capodanno passò all’ultimo giorno di dicembre.

Momento di passaggio tra il vecchio e il nuovo, rimase carico di credenze, riti e tradizioni popolari.

Nel Nuorese, ad esempio, era diffusa l’usanza “de su Candelàrju” (chiamata ” Su candelarzu” nel Nord della Sardegna e “Sa candelaria” nel paese di Orgosolo): il 31 dicembre, i bambini, riuniti in gruppetti, andavano in giro per le strade a chiedere la questua per i poveri, muniti di “sacchettas” (o “sacchittas”), bianche federe portate in spalla come bisacce.

Come offerte, ricevevano castagne, fichi secchi, mandorle, nocciole, castagne e i pani della tradizione: “sas rughittas”, a forma di croce, “su capidu e s’annu“, dalla forma ovale con “sas ficcas“, dodici fori e piccoli anelli di buon augurio, a simboleggiare i mesi del nuovo anno, e “s’accheddu“, piccoli bastoncini di pane dalla forma di spirale.

Nel Loguodoro, un pane rituale legato al Capodanno è il “cabude“, di origine precristiane, quando l’inizio dell’anno agricolo veniva celebrato a settembre: si preparava con pasta madre, semola fine, sale e acqua, e aveva la particolarità di avere forme differenti in base al mestiere di chi lo riceveva.

Come buon augurio, il capofamiglia spezzava il pane più voluminoso sul capo del figlio maschio minore.

Altra usanza, diffusa in particolare in Barbagia, era quella di predire il futuro, arte in cui le donne erano maestre: il Capodanno, infatti, era il momento più propizio per porre alla sorte importanti domande sul futuro.

Ancora, sempre in Barbagia, si praticava “su giogu ‘e sos olzoso” per capire se due persone si amavano veramente e se la loro relazione sarebbe continuata anche nell’anno entrante.

Per dare il via al gioco, si prendeva una bacinella e la si riempiva d’acqua: dopodiché, si creava un “mulinello” con un dito e si gettavano due chicchi d’orzo cui si davano i nomi delle due persone.

Dopo un pò di tempo, solitamente, un chicco si fermava a un lato del recipiente: se l’altro chicco si fermava nello stesso punto, significava che i due si volevano bene davvero, altrimenti, se continuava a girare da solo o si fermava lontano, l’amore sarebbe durato ben poco.

Quando si incontrava qualcuno lungo la strada oppure si faceva visita ai parenti, era prassi salutarsi con la frase “A Sa Noa!” ovvero “Ci vediamo nell’anno nuovo” cui la risposta era “Deus bollat!“, cioè “Che Dio lo voglia!”

Infine, rito propiziatorio del primo gennaio era il grano cotto, “su trigu cotu”, legato alla cultura contadina.

Dopo aver pulito il grano dalla pula e dai sassolini la mattina del 31 dicembre, si metteva in ammollo per circa dodici ore: alla sera, lo si faceva bollire e, una volta cotto, andava sistemato in una pentola avvolta con una coperta calda e paglia.

Il mattino del primo gennaio, veniva servito per colazione con latte di pecora caldo e, per un anno prospero, tutti dovevano mangiarne almeno un po’.

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