Gioielli sardi tradizionali: storia, significato e segreti di Su Coccu
Su Coccu, il fascino senza tempo dell’intramontabile amuleto sardo
Simbolo di protezione contro le forze negative e il malocchio, il su coccu è tra i gioielli artigianali sardi più amati e longevi, al punto da essere diventato parte integrante del variegato patrimonio culturale e folkloristico isolano.
I gioielli sardi sono un elemento distintivo della tradizione artigianale dell’antica Isola di Ichnusa, unici nel loro stile fine e delicato, e nella loro particolare simbologia, in grado di racchiudere sia significati personali che collettivi, trascendendo l’essere un mero ornamento per diventare un vero e proprio simbolo di appartenenza culturale, sociale, e spirituale.
Spesso tramandati di generazione in generazione, questi piccoli capolavori di oreficeria raccontano infatti storie di arte, religione e superstizione, rispecchiando un variegato patrimonio si estende dal passato al presente, mantenendo ancora oggi in vita antiche tradizioni e abilità manuali che altrimenti sarebbero andate perse, come la filigrana, una tecnica estremamente complessa, che consiste nell’intrecciare dei sottilissimi fili d’oro o d’argento per creare disegni complessi e delicati, simili a un delicato pizzo, che dona grazia e raffinatezza al monile.
Questa tecnica, alla base di molti dei gioielli artigiani più affascinanti e conosciuti della Sardegna viene utilizzata, ad esempio, nella realizzazione delle celebri fedi sarde, anelli simbolo di unione e protezione, che tradizionalmente venivano scambiato come pegno d’amore tra gli sposi, e poi tramandati di madre in figlia, come buon auspicio per un matrimonio felice, ma anche come suggello del legame filiale, che si distingue dalla maninfide, formata invece da due mani che si stringono in una promessa di amore eterno (non a caso, è stata a lungo l’anello di fidanzamento sardo per eccellenza).
Sempre in filigrana d’oro o d’argento sono poi anche i cosiddetti “bottoni”, orecchini a forma di sfera che possono anche essere inseriti in una catenina o usati come ornamento per gli abiti tradizionali, la cui forma rotonda ricorda quella di un seno femminile, simbolo di fertilità e vita, valori fondanti della cultura sarda, che sottolineano l’importanza della famiglia e delle tradizioni, e dunque spesso utilizzato come amuleto da chi desidera domandare e ricevere una vita prospera, produttiva e felice.
Simile funzione è quella del su coccu, un vero e proprio talismano costituito da un’affascinante pietra nera e liscia, solitamente ossidiana o onice, incastonata tra due graziose coppe d’argento decorate con la filigrana che, secondo la tradizione, allontanerebbe il malocchio da chi lo indossa. Il perfetto esempio di come un gioiello possa andare oltre la sua funzione decorativa, diventando un oggetto carico di valore simbolico e affettivo, rendendolo estremamente amato non solo dalla popolazione locale, ma anche da chi desidera portarsi un “pezzo” di Isola a casa e, nel farlo, rendere omaggio alla sua cultura millenaria.
Su Coccu sardo: storia e simbologia di uno dei gioielli tradizionali sardi più amati
La storia del Su Coccu sardo noto, anche con la denominazione dialettale di Sa Sabègia o Su Pinnadellu o anche Su Pinnazzellu, affonda le sue radici nella notte dei tempi, ed è intrinsecamente legata con il ricco e sfaccettato panorama folkloristico locale, frutto di una terra da sempre crocevia di popoli e culture, un luogo in cui l’antico incontra il moderno, dove il sacro si mescola con il profano (testimonianza di questa sincretismo è visibile anche in festività estremamente sentite, come quella di Sant’Efisio).
Un fermento culturale dove le credenze popolari, e in questo caso quelle legate al “malocchio”, in sardo sa pigara de ogu (ovvero la superstizione secondo cui alcune persone, tramite il semplice uso dello sguardo, sarebbero in grado di lanciare maledizioni o portare sfortuna ad altre da loro odiate o invidiate), avevano -e hanno ancora oggi- terreno fertile per crescere e diffondersi, continuando a mantenere nei secoli una forte influenza sul vissuto personale e comunitario della gente, in un fenomeno che caratterizza anche altre civiltà affacciate sul Mediterraneo (e non solo).
Non a caso, evidenti sono le somiglianze del su coccu sardo, sia dal punto di vista estetico che per la sua funzione apotropaica, con altri talismani portafortuna e protettivi nati in altri contesti geografici e culturali, primi tra tutti il celebre nazar, conosciuto anche come “occhio di Allah” o “Evil Eye” (in italiano “occhio malvagio”). Si tratta di un monile originariamente diffuso in Medio Oriente, Nord Africa e in Paesi del Mediterraneo orientale come la Turchia e la Grecia, e oggi ampiamente amato e usato in tutto il mondo non solo come amuleto personale, ma anche come decorazione per la casa, per i gioielli, e persino per oggetti di uso quotidiano come portachiavi e ornamenti, costituito da un disco di vetro blu (generalmente in pasta vitrea o ceramica) con un cerchio bianco e un punto nero al centro, a richiamare, per l’appunto, a forma stilizzata di un occhio vigile, che protegge e respinge il malocchio.
Lo stesso vale per la mano di Fatima, simbolo di libertà e protezione in molte religioni, a partire da quella musulmana, ma anche in antiche culture come quella sumera e assiro-babilonese, dove era altresì simbolo di amore e fertilità, nonché in quella ellenica e in quella buddhista, dove il cui parallelismo deriva in prima battuta dall’abhaya mudra, la famosa posizione del palmo della mano sollevato a rappresentare una totale assenza di paura. Mano che viene spesso impreziosita al centro dal nazar, che rafforza la capacità della mano di bloccare e respingere la cattiva sorte,
Nonostante queste evidenti similitudini, in Sardegna questa protezione assumeva un carattere particolarmente intimo e personale, rendendo il Su Coccu un oggetto non solo simbolico, ma anche profondamente legato alla contesto quotidiano e familiare sardo. Sembra infatti che la sua origine sia da collegarsi ai talismani protettivi utilizzati già ai tempi della civiltà nuragica: contrasto tra la pietra nera e il metallo rifletteva l’idea di un equilibrio tra forze opposte, un concetto centrale nella spiritualità arcaica.
Nel Medioevo, l’amuleto viene da un lato integrato nei gioielli tradizionali sardi tramandati di madre in figlia, perpetuando una tradizione matrilineare che rafforzava i legami famigliari, mentre dall’altro si diffonde come elemento protettivo e decorativo nei costumi tipici, spesso montato su spille d’argento da appuntare il velo o sul corpetto degli abiti, rinforzando quell’insieme di codici e usanze associati con l’idea di una cultura sarda che unisce il frammentato contesto geografico isolano.
Molto spesso questo piccolo talismano veniva nascosto nelle culle, nei passeggini o sotto gli abiti di neonati e bambini, per proteggerli dalle energie negative, dall’invidia e dalle influenze maligne. Nel caso in cui l’amuleto fosse rimasto integro fino alla crescita del bambino, questo si sarebbe poi dovuto legare al suo polso con un nastro di seta di colore verde. Lo stesso valeva per le novelle spose, che ne ricevevano uno in regalo dalla propria famiglia, generalmente abbinato con del corallo rosso (simbolo dell’amore) o dell’agata bianca (simbolo di purezza), per proteggersi e proteggere la propria relazione.Tuttavia, affinché fosse efficace contro la sfortuna, il monile doveva essere “ricaricato” con i brebbus, ossia le preghiere mistico religiose della tradizione sarda che attivano la sua potente protezione contro il male.
Al tempo stesso, non si trattava soltanto di una forma di protezione contro il malocchio: il Su Coccu era considerato una sorta di “scudo”, capace di difendere da dolori fisici, animali velenosi e qualsiasi forma di negatività. Si riteneva infatti che, se l’amuleto si spezzava, diventava opaco o veniva perso, avesse assorbito una potente maledizione, salvando chi lo indossava e rendendolo immune dalle conseguenze di quella negatività. Un “sacrificio” che sottolinea ancora di più il suo valore simbolico e spirituale.
Su Coccu, talismano sardo significato di purezza e protezione
Il Su Coccu è un gioiello apparentemente semplice, ma che nasconde una profonda attenzione ai dettagli, il che lo rende un vero e proprio capolavoro di gioielleria artigiana. La sua struttura classica consiste in una piccola pietra nera, liscia e dura, solitamente onice o ossidiana, che viene traforata per permettere il passaggio del supporto che regge le due coppe laterali in lamina o filigrana d’argento, in cui viene incastonata. Ognuno di questi elementi non è scelto a caso, ma ha un significato preciso.
La pietra, nello specifico, è di colore nero poichè nella cultura sarda questo colore è da sempre legato alla protezione e alla capacità di assorbire le energie negative. L’onice e l’ossidiana erano considerate infatti pietre “magiche”, capaci di respingere il malocchio e di portare equilibrio a chi le indossava (non a caso, ancora oggi, queste pietre sono molto utilizzate in cristalloterapia proprio per le loro qualità di purificazione e protezione). Una funzione amplificata dalla forma sferica del monile, che secondo la tradizione simboleggia l’occhio “buono”, che si contrappone a quello “cattivo”.
L’argento della montatura è invece da sempre associato alla purezza e alla protezione. La sua brillantezza è vista come un riflesso della luce, capace di allontanare le ombre e di amplificare l’effetto protettivo della pietra. Il risultato è un gioiello piccolo, per alcuni discreto, ma comunque di grande impatto, in cui ogni elemento contribuisce a creare un’armonia perfetta tra estetica e funzione simbolica.
Nonostante il passare del tempo, il Su Coccu sardo continua a essere uno dei gioielli più apprezzati della tradizione sarda, non solo per il suo valore simbolico, ma anche per il suo design essenziale e al tempo stesso elegante, che lo rende adatto a ogni occasione. Oggi, gli artigiani sardi continuano a creare gioielli artigiani seguendo le tecniche tradizionali, ma spesso aggiungono un tocco di modernità per adattarlo ai gusti contemporanei.
Ad esempio, alcune versioni includono pietre colorate come l’agata o il corallo, molto diffuso nella zona della Gallura, altri presentano invece dettagli in oro giallo e rosa anziché nel classico argento, e altri ancora sono realizzati nei più svariati materiali, come legno, marmo, ambra e in pasta di vetro colorata, mantenendo pur sempre intatto il fascino originario del gioiello.
Il meglio dei gioielli sardi tradizionali presso il Forte Village Resort
Negli anni, il Su Coccu è diventato un vero e proprio simbolo della Sardegna nel mondo, e molti visitatori scelgono di portare a casa un amuleto non solo come souvenir, ma come testimonianza di un incontro con una cultura ricca di significati, leggende e tradizioni, ma anche con una terra incredibilmente affascinante, dove l’azzurro turchese del mare si staglia contro il verde smeraldo della sua natura incontaminata, dove piccoli paesini si stagliano contro aspri rilievi, dove un’accoglienza calda e generosa è pronta ad accogliere chi desidera immergersi nel fascino magnetico di questa terra selvaggia.
Tra i luoghi che meglio incarnano l’unicità dell’antica Isola di Ichnusa vi è sicuramente il Forte Village Resort, da poco premiato come “World’s Leading Resort”, “World’s Leading Sports Academy” e “World’s Leading Sports Resort” ai prestigiosi World Travel Awards 2024, struttura d’eccellenza situata a pochi passi da alcune delle spiagge più belle dell’Isola, nell’incantevole località di Santa Margherita di Pula, a circa 45 minuti di macchina da Cagliari.
Qui è possibile non solo immergersi nell’incontaminata bellezza della natura sarda (la struttura è circondato da oltre 50 ettari di giardini caratterizzati da un’incredibile biodiversità naturale), e godere delle prelibate creazioni culinarie offerte dai numerosi ristoranti gourmet e stellati ospitati all’interno degli spazi del resort, tra cui il Belvedere di Giuseppe Molaro, la Terrazza San Domenico di Massimiliano Mascia e il Beachcomber del tristellato Heinz Beck, ma anche dedicarsi allo shopping di lusso presso l’esclusiva selezione di boutique di haute couture, tra cui quelle di Brunello Cucinelli, Dolce & Gabbana, Balenciaga, YSL, Valentino, Zegna, Il Gufo, Givenchy, Damiani, Hublot, e di botteghe di pregiato artigianato locale, artigianato, offrendo agli ospiti la possibilità acquistare pezzi unici e raffinati.
Tra questi, i gioielli sardi tradizionali, tra cui l’iconico Su Coccu, ma anche meravigliosi ricami, splendide ceramiche, eleganti tessuti, tradizionali tappeti e i capi firmati dei più rinomati brand italiani e internazionali. In altre parole, un’occasione da perdere non solo per gli amanti dello shopping, ma anche per chi desidera sperimentare l’essenza più autentica dell’Isola.
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