Festa della Befana sarda: storia e curiosità su Sa Filonzàn

Festa della Befana sarda: storia e curiosità su Sa Filonzàn

Festa della Befana in Sardegna: le origini di Sa Filonzàn

Sa Filonzàn è una delle celebrazioni più note e affascinanti del patrimonio folkloristico della Sardegna che, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, anima con sfilate in costume legate alla tradizione della Befana sarda le strade di borghi e centri urbani.

La festa della Befana in Sardegna si distingue nettamente dalle celebrazioni che caratterizzano il resto della Penisola, andando ben oltre l’immagine della vecchina che porta dolci ai bambini. Qui, la Befana assume la forma di un vero e proprio rito collettivo, profondamente radicato nelle tradizioni locali e legato ai cicli naturali, agricoli e sociali dell’isola.

Tra le figure più simboliche che caratterizzano il giorno della Befana In Sardegna, infatti, quella di Sa Filonzàn, la vecchia che fila la lana, un’immagine semplice e concreta, profondamente radicata nella vita quotidiana delle comunità rurali sarde, dove il gesto del filare scandiva le giornate invernali e diventa metafora del fluire del tempo.

Attorno a questa figura si sviluppano rituali collettivi, falò e rappresentazioni popolari che trasformano la festa della Befana in un momento di riflessione condivisa, oltre che di festa.

La Festa della Befana in Sardegna: dove nasce la tradizione di Sa Filonzàn

La figura di Sa Filonzàn affonda le sue radici soprattutto nelle zone interne e centro-meridionali della Sardegna, territori in cui la trasmissione orale ha permesso di conservare tradizioni antichissime e rituali che oggi assumono un grande valore simbolico e culturale.

Il nome stesso della ricorrenza, derivato dal verbo filare, richiama l’immagine della donna che lavora la lana, gesto quotidiano che nella cultura rurale sarda non è mai stato solo materiale ma anche profondamente simbolico: filare rappresenta il tempo che scorre, il destino che si costruisce, e la responsabilità di custodire l’ordine della comunità. Un invito a riflettere sul passato e a prepararsi responsabilmente al futuro, trasformando la paura in consapevolezza e il timore in esperienza collettiva.

Una maschera comunemente legata al Carnevale sardo – tra le altre cose, l’unica femminile – e in particolare a quello del borgo di Ottana, che è però indissolubilmente legata alle celebrazioni dell’Epifania, la cosiddetta sa pasca nutza (la “Pasqua piccola”, in contrasto con la festa della resurrezione del Signore).

Sa Filonzàn: identikit della befana sarda

Sa Filonzàn appare come un’anziana gobba e zoppa, vestita di nero, sempre intenta a filare la lana: un gesto carico di significato, dove il filo simboleggia la vita e il destino degli abitanti. La vecchietta è pronta a tagliare il filo con le forbici per chi non mostra rispetto, richiamando in chiave sarda le Parche romane o le Moire greche, custodi del destino umano.

La notte dell’Epifania, secondo le credenze popolari, Sa Filonzàn percorre le strade dei paesi, entra simbolicamente nelle case e osserva il comportamento degli abitanti, in particolare dei bambini e delle giovani donne, verificando che siano stati laboriosi, rispettosi e coscienziosi. Pur rappresentando una donna anziana, la maschera era tradizionalmente interpretata da un uomo travestito, poiché alle donne era proibito partecipare ai riti, e questo conferisce alla figura un ulteriore livello di teatralità e simbolismo.

Durante le celebrazioni del Carnevale di Ottana, nel nuorese, la figura assume anche un ruolo di testimone della morte simbolica dei Boes, maschere tradizionali che rappresentano forza e fertilità. La sua autorità li ordina a “morire”, ma dopo pochi istanti i Boes si rialzano, incarnando la resilienza della vita e il rinnovamento continuo, proprio come la terra che riprende vita dopo il sonno invernale.

In questo modo, la “befana” sarda diventa un mediatore tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti, un simbolo di rinnovamento e continuità che lega le celebrazioni dell’Epifania al senso profondo di ciclicità della vita e della comunità sarda.

Altre tradizioni dell’Epifania in Sardegna: riti, canti e dolci simbolici

Accanto alla figura centrale di Sa Filonzàn, la festa della Befana in Sardegna si arricchisce di una costellazione di usanze minori, spesso diverse da paese a paese, che contribuiscono a rafforzare il carattere comunitario e simbolico della ricorrenza. In molte zone dell’isola, la notte dell’Epifania era tradizionalmente accompagnata da falò rituali, accesi nelle piazze o ai margini dei centri abitati, con una funzione purificatrice e propiziatoria: il fuoco serviva a “bruciare” simbolicamente l’anno appena concluso, favorendo il rinnovamento e la rinascita del ciclo agricolo.

In alcune aree, soprattutto nel nord della Sardegna, erano diffusi anche canti itineranti, noti come sos tres reses, legati alla celebrazione dei Re Magi. Bambini e ragazzi andavano di casa in casa intonando strofe augurali, ricevendo in cambio frutta secca, dolci o piccole offerte. Queste pratiche, a metà tra sacro e profano, rafforzavano i legami sociali e trasformavano l’Epifania in un momento di condivisione e scambio simbolico.

La tradizione gastronomica legata al 6 gennaio in Sardegna riflette la stessa varietà e stratificazione culturale delle celebrazioni. Non esiste un unico “dolce della Befana sarda”, ma una serie di preparazioni locali che variano in base al territorio e alle influenze storiche.

Tra i più diffusi compaiono dolci a base di mandorle, miele e sapa, ingredienti tipici della pasticceria tradizionale isolana, spesso modellati in forme simboliche o decorative. In alcune zone si preparavano ciambelle o pani dolci ispirati alla festa dei Re Magi, talvolta arricchiti con frutta secca o aromi agrumati, chiaro riflesso dei contatti con la tradizione iberica.

Non mancavano poi biscotti secchi e dolcetti semplici, destinati soprattutto ai bambini, che venivano donati durante i canti o lasciati come segno augurale. Più che l’opulenza, ciò che caratterizzava questi dolci era il loro valore simbolico: il cibo diventa veicolo di buon auspicio, abbondanza e protezione per l’anno appena iniziato.

Riti, canti, falò e dolci concorrono dunque a costruire un linguaggio condiviso, fatto di gesti ripetuti nel tempo, che permetteva alla comunità di affrontare il nuovo anno con consapevolezza, rispetto e speranza.

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