Is candeberis e Is candelaus, le tradizioni del Capodanno sardo

Is candeberis e Is candelaus, le tradizioni del Capodanno sardo

Origini e significato di antiche tradizioni legate al Capodanno in Sardegna

Eleganti dolci, finemente decorati, ma anche piatti più sostanziosi, come il trigu cottu, simbolo di prosperità e ricchezza, sono parte di rituali tramandati di generazione in generazione per dare addio all’anno vecchio, e accogliere al meglio quello nuovo.

In Sardegna, il cibo è intimamente legato con la celebrazione di momenti importanti, e la giornata di Capodanno, che fa da spartiacque -figurativamente, ma anche per certi versi concretamente- tra il “vecchio” che si vuole abbandonare, e il “nuovo” che si vuole accogliere, non può certamente fare eccezione.

Ecco quindi che il cenone del 31 vede come grandi protagonisti piatti tipici sardi, che nella loro apparente semplicità sono indissolubilmente legati alla grande ricchezza del territorio, con i suoi sapori, odori e colori inconfondibili, come i culurgiones, gli iconici ravioli di pasta fresca dalla caratteristica forma a mezzaluna, il cui ripieno, solitamente a base di patate, formaggio pecorino e menta (alcune varianti prevedono invece l’utilizzo di bietole o spinaci e ricotta fresca) viene sigillato con la classica chiusura a spiga, simbolo di gratitudine e abbondanza, ma anche l’agnello in umido, generalmente servito con patate arrosto e altri contorni a base di ortaggi invernali, primi tra tutti cardi e carciofi, e gli inconfondibili pabassinas, grossi biscotti realizzati con pasta frolla arricchita da mandorle, noci, uva passa, scorza di limone grattugiata e miele, senza dubbio tra i dolci del Natale sardo più amati di sempre.

A questi si alternano poi specialità locali che variano tra le diverse zone dell’Isola, in quell’inconfondibile mescolanza di influenze e usanze che da sempre caratterizza il panorama gastronomico e culturale isolano. Ad esempio, lungo la costa sono molto popolari piatti di mare come la fregula con arselle, una pasta di semola tostata servita con un saporito brodetto di vongole, ma anche la burrida a sa casteddaia, ovvero una specialità di pesce agrodolce, che ha per protagonista il gattuccio di mare, cotto e condito con olio, aceto, aglio, noci e spezie a piacere e, non da ultime, la zuppa di cozze insaporita con l’aglio e il prezzemolo, tipica della costa olbiese. Nel nuorese, invece, e più in generale nell’entroterra, è tradizione preparare il maialetto arrosto, simbolo della convivialità sarda, ma anche un richiamo al forte legame tra l’uomo e la terra, e la sa cordula, che deriva il suo nome dall’intreccio degli intestini e delle budella di agnello, che vengono abbrustoliti sul fuoco vivo.

Al tempo stesso, esistono anche delle tradizioni del Capodanno sardo forse meno conosciute fuori dal territorio isolano, ma non per questo meno sentite e diffuse, che danno vita a riti unici che uniscono cucina, simbolismo e spiritualità.

Nonostante la sua apparentemente frammentata geografia e le peculiari usanze radicate nei diversi paesi e paesini sardi, che riflettono la complessa trama di popoli, con i loro costumi, credenze e visioni del mondo, che negli ultimi millenni si sono alternati sull’Isola, esiste infatti una forte unità culturale che si manifesta in primo luogo in tradizioni culinarie antiche legate all’agricoltura e al ciclo naturale delle stagioni. Una sorta di filo rosso che lega non solo il passato e il presente dell’Isola, in una commistione tra sacro e pagano ben visibile anche in altre importanti ricorrenze, prime tra tutte la Festa di Sant’Efisio, ma anche una senso di appartenenza e un’unitarietà che descrive l’identità del suo popolo e che trova radici nella sua cultura agropastorale.

Analizzando le tradizioni gastronomiche -e non solo- sarde, emergono infatti elementi comuni che sembrano unire territori anche geograficamente distanti tra loro. Significati e intenti che si ritrovano ancora oggi, ad esempio, nei rituali di Is candelabris e Is candelaus, che dalla notte dei tempi uniscono famiglie e comunità locali in un augurio di abbondanza, prosperità e serenità per l’anno a venire.

Is Candeberis: il “grano cotto” che augura un buon Capodanno in Sardegna

Tra i rituali più antichi legati alle celebrazioni del capodanno in Sardegna vi è sicuramente quello quello de su trigu cottu, il grano cotto, un alimento cardine della dieta delle popolazioni legate all’agricoltura, come per millenni lo è stata quella sarda, ma anche un simbolo di buon auspicio e abbondanza. I chicchi del grano, così tanti da non poter essere contati, come le monete che ci si auspica di avere nel portafoglio, assolvono infatti una funzione simile a quella della melagrana e delle lenticchie, onnipresenti sulle tavole dell’ultimo anno pressoché in tutte le culture mediterranee.

Nemmeno la preparazione del su trigu cottu è lasciata al caso, e diventa parte integrante di un antico cerimoniale: il 31 dicembre, giorno di San Silvestro, i chicchi di grano vengono messi in ammollo per almeno 12 ore, per poi essere fatti bollire in acqua e lasciati riposare in una scivedda, il classico contenitore sardo in terracotta, che viene chiuso durante la notte dentro un cesto, il cadinu, contenente paglia di grano. Lo scopo è quello di preservare il calore della cottura, in modo che il grano possa proseguire la sua cottura fino al momento del consumo.

L’indomani mattina, 1 gennaio, il trigu viene servito durante la colazione, sia “in purezza”, che addolcito con del latte fresco di capra o pecora (tipico di Sulcis-Iglesiente)o con della sapa (più comune invece nel Medio Campidano), ovvero del mosto d’uva. Talvolta si offre anche al termine del pranzo, per augurare ai propri cari un anno ricco di prosperità e felicità.

In molte zone dell’Isola, come nel Campidano e nel Sulcis, è ancora in vita un’antica usanza, quella di Is Candeberis, che prevede che grandi e piccini vadano di casa in casa, sbattendo pentole e stoviglie per svegliare parenti e vicini e regalare loro un piatto di grano cottoNon soltanto un augurio, ma anche un vero e proprio gesto di solidarietà, soprattutto nei secoli scorsi, quando un pasto caldo era spesso un grande lusso, e ci si voleva assicurare che nessuno patisse la fame durante questo giorno particolarmente significativo. Non c’è da stupirsi, quindi, se uno degli auguri più classici, in lingua sarda, è proprio l’espressione salludi e trigu (salute e grano).

Molte sono anche le iniziative intraprese dalle organizzazioni locali per mantenere viva la tradizione di Is Candeberis e, soprattutto, per augurare un anno migliore a chi ha vissuto un periodo difficile. Ad esempio, a Arbus, nel Medio Campidano,,l’associazione “Angeli del cuore” si occupa ogni anno di distribuire il trigu cottu alle famiglie del paese, e lo stesso a Guspini e Fluminimaggiore, nell’Iglesiente, rinnovando un millenario atto di condivisione e speranza in un mondo a oggi estremamente isolato e isolante, dove l’individuo è spesso slegato dal contesto sociale nel quale vive.

Is Candelaus e altre specialità tipiche del Capodanno Sardegna

Il cibo è protagonista anche di un’altra golosa tradizione legata al Capodanno in Sardegna, e più nello specifico nella zona del Campidano di Cagliari, regione storico-geografica nel sud dell’Isola, ma ai giorni d’oggi estesa anche ad altre zone, è quella di preparare gli Is Candelaus (dal latino kalendae, con cui veniva indicato il primo giorno del mese e in questo caso dell’anno), una prelibatezza parte dei cosiddetti druccis finis, ovvero creazioni dolci finemente decorate, in questo caso con un’elegante ghiaccia reale.

Protagonista indiscussa di questa prelibatezza dolce è la mandorla, utilizzata sia nella preparazione della sfoglia friabile esterna, che nel morbido ripieno in essa contenuto, per il quale viene aromatizzata con acqua di fiori d’arancio. Il tutto è poi ricoperto da una delicata ghiaccia reale a base di albume e zucchero a velo, che oltre a dare un tocco di dolcezza in più serve anche a decorare il dolce con le forme più svariate, come sofisticate rose, piccoli animali, ma anche più complessi cestini, una variante particolarmente apprezzata quando questi dolcetti vengono preparati in occasioni di battesimi, matrimoni e comunioni.

Affascinante anche il cerimoniale che circonda la preparazione e il consumo del su Càbude, un pane cerimoniale dalla forte funzione propiziatoria preparato fin dall’età pre-cristiana con semola e pasta madre, e poi decorato con figure simboliche che rappresentano diversi mestieri o oggetti, generalmente ripieno con marmellata e fichi d’india, nonostante sia possibile trovarlo anche in versione salata.

Secondo la tradizione, questo pane veniva spezzato sulla testa del figlio più piccolo o del primogenito (da qui il nome cabude, che deriva dal latino caput, ovvero “testa”), facendo cadere le briciole tra le fiamme del camino mentre si pronunciava il famoso ritornello cantas fischinidas ruene in terra, annos appas de bona fortuna, ovvero “quante son le briciole che cadono per terra, possa tu godere di anni di buona fortuna”.

Molto diffusa, soprattutto negli scorsi secoli e in alcuni Paesi della Barbagia, la tradizione della sa Candelarìa, durante la quale i bambini andavano di casa in casa per ricevere cibo e dolci -in particolar modo biscotti, frutta fresca e secca, e il famoso Cocòne, un pane rustico, ma gustosissimo, realizzato con farina di grano duro, lievito, acqua, sale e strutto. Un rituale di condivisione che rifletteva la volontà di redistribuire la ricchezza tra ricchi e poveri e favorire la coesione sociale e il senso di comunità.

Si tratta di usanze dalla radici antichissime, ma ancora oggi assai sentite, che meritano di essere vissute in prima persona per poterne carpire l’essenza più autentica, quella insita in quel sentimento di forte unità sociale, storica e culturale che da sempre fa da collante tra l’apparentemente frammentata società sarda.

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