Mamuthones e Issohadores: i misteri dietro le maschere del carnevale mamoiadino
Mamuthones e Issohadores, arcaici simboli del paese di Mamoiada
Mamuthones e Issohadores, le secolari maschere di un Carnevale unico nel suo genere.
Tra gli usi e i costumi popolari della Sardegna più autentica, spiccano le due millenarie maschere del Carnevale di Mamoiada, i Mamuthones e gli Issohadores, nel cuore della Barbagia, simboli di una tradizione sarda che potrebbe risalire addirittura all’epoca nuragica.
Si tratta di un rito antichissimo, tramandato di generazione in generazione, ricco di mistero e fascino che ha saputo cavalcare le onde del tempo e arrivare, intatto, fino ai nostri giorni: il 17 gennaio, Festa di Sant’Antonio Abate, ha inizio il Carnevale Mamoiadino, con la prima uscita delle maschere dopo l’arrivo del nuovo anno (le uscite successive avvengono la domenica di Carnevale e il Martedì Grasso).
Le due figure, di sesso maschile, appaiono differenti e in “contrasto” ma, in realtà, sono inscindibili e complementari, l’immagine di un unico gruppo che rappresenta un patrimonio inestimabile per la comunità locale.
Il sentito e profondo rituale ha inizio con la vestizione, momento solenne in cui gli uomini si “trasformano” e assumono le sembianze dei Mamuthones e degli Issohadores, attraverso varie fasi che sono eseguite con grande scrupolo e attenzione, in un clima di mistero e suggestione che culmina con il calare della maschera sul viso, quando i componenti del gruppo perdono la loro identità e la parola per diventare esseri “sovrannaturali” aldilà delle barriere del tempo.
I Mamuthones, figure antropomorfe, indossano sul viso la “visera“, maschera nera in legno, “su belludu“, abbigliamento di velluto marrone o nero, “sas peddes”, o “mastruca“, pelli di pecora nera che ricoprono il busto, il berretto “bonette“, “su muncadore“, un fazzoletto in tibet (utilizzato dalle donne del posto) legato attorno al viso per coprire il capo, “sos ‘usinzos”, scarponi in cuoio, e “sa carriga“, i campanacci tenuti insieme da cinghie di pelle e collocati sul dorso, dal peso di 20/25 chili.
Gli Issohadores, dalle movenze vivaci, indossano invece una maschera bianca in legno, “sa visera ‘e santu”, “sa berritta“, tradizionale copricapo in panno nero, una giacca in panno rosso, “su curittu“, e una camicia bianca senza colletto, “sa ‘amisa“, calzoni bianchi, uno scialletto ricamato o pitturato con fili sgargianti piegato a triangolo e legato in vita, “sas carzas” che rivestono le scarpe fino sotto al ginocchio.
Portano poi “sos sonajolos”, cintura in pelle sulla spalla con campanellini o piccoli sonagli, e “sa soha“, fune in giunco intrecciata da artigiani locali, con cui “acchiappano” il pubblico durante l’esibizione.
Il gruppo è, di solito, composto da dodici fino a sedici Mamuthones che si spostano in due file parallele, uniti a otto o dieci Issohadores che li affiancano durante la sfilata.
Quella dei Mamuthones è una “processione danzata”: si muovono con passi pesanti e producono, a intervalli regolari, un singolare frastuono dando, all’unisono, un colpo di spalla destra mentre avanzano con il piede sinistro e, subito dopo, un colpo di spalla sinistra procedendo con il piede destro.
Di tanto in tanto, sempre con intervallo regolare, eseguono tre rapidi salti su se stessi, tutti insieme.
Di contro, gli Issohadores si muovono con passi rapidi e sciolti, e improvvisi slanci eleganti mentre gettano “sa soha“, catturando amici oppure donne tra il pubblico.
Interagiscono, così, con gli spettatori e il mondo circostante, mentre i Mamuthones sono vincolati al mutismo.
Sono varie le ipotesi avanzate nel corso degli anni in merito a tali figure ancestrali ma, finora, nessuna di esse è stata ritenuta valida in mancanza di comprovata documentazione.
Quello che è certo, tuttavia, è il profondo significato che richiama il ciclo della natura.
Sant’Antoni de su O’U, la Festa di Sant’Antonio Abate
La prima apparizione pubblica delle singolari maschere del Carnevale mamoiadino avviene il 17 gennaio, giorno della Festa di Sant’Antonio Abate, copatrono di Mamoiada.
“Sant’Antoni de su O’U”, Sant’Antonio del Fuoco, è un rito tra il sacro e il profano, durante il quale vengono accesi numerosi falò per il paese in onore del Santo che, secondo la tradizione, rubò il fuoco dall’inferno per farne dono agli uomini.
Il via all’accensione si tiene al sera del 16 gennaio quando “Su pesperu“, il sacerdote, esce in processione e compie tre giri attorno al fuoco insieme ai fedeli recitando il Credo.
Al termine, benedice le braci e la Statua di Sant’Antonio Abate.
In occasione delle festa, attorno ai fuochi si tengono banchetti e vengono preparate autentiche leccornie e “opere d’arte culinarie”: “Su popassinu nigheddu“, “Sas caschettas“, “su popassinu biancu” e “su coccone ‘in mele” solo per citarne alcuni.
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