Corallo Sardegna: l’oro rosso del mar Mediterraneo
Corallo Sardegna: caratteristiche, usi e proprietà
Lo splendido mare di Sardegna è uno scrigno che custodisce innumerevoli tesori come il Corallium rubrum, ovvero il corallo rosso, un octorallo della famiglia Coralliidae diffuso nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale. In genere, si trova fino a 200 metri di profondità in luoghi poco illuminati e con scarsa vegetazione.
Il corallo di Sardegna, di colore rosso brillante o rosa, forma colonie ramificate che possono superare i 20-30 cm di altezza e vive in condizioni di vita particolari: salinità dell’acqua costante, ridotto movimento dell’acqua e illuminazione attenuata. Lo si trova in luoghi ombrosi e riparati, come grotte, strapiombi e fenditure tra le rocce, e a una profondità compresa tra i 20-30 metri e i 200 metri, ma a volte si può osservare anche a basse profondità.
Nella tradizione popolare il corallo è considerato un amuleto portafortuna da regalare ai neonati, ma il suo significato cambia in base alle epoche e alle culture. Infatti, per i pagani i rametti appuntiti di corallo erano utili per combattere il malocchio lanciato per invidia, mente per i cristiani il colore rosso era il simbolo della passione di Cristo e per questo motivo, nel Medioevo, il corallo veniva utilizzato per i reliquiari della Croce. Il Corallium rubrum spicca anche in numerosi dipinti tardo medievali e rinascimentali, come la Madonna del solletico di Masaccio, la Madonna di Senigallia e la Pala di Brera di Piero della Francesca.
Nelle isole del Pacifico, il corallo era collocato all’interno delle tombe per difendere le anime dei defunti dagli spiriti maligni ma veniva anche utilizzato, insieme alla pietra lavica, anche per edificare templi. Nell’antico Egitto e in Grecia, invece, era ridotto in polvere e sparso sui campi per proteggere i raccolti dai temporali e dall’attacco degli insetti, mentre le donne dell’antica Roma indossavano orecchini di corallo per attirare gli uomini.
Il corallo rosso è utilizzato anche nella cristalloterapia e i suoi benefici sono molteplici: stimola la circolazione, l’attività cardiaca e l’energia vitale, rafforza la colonna vertebrale, scioglie i blocchi articolari, allontana le negatività, esalta la sensualità e rafforza i sentimenti di affetto.
Si pensa che la parola corallo derivi dal greco koraillon, che significa “scheletro duro”, o da kura-halos, ossia “forma umana”. Una terza ipotesi suggerisce che l’etimologia della parola va ricercata nel termine ebraico goral, nome che indica le pietre un tempo utilizzate per gli oracoli in Palestina, Asia e nell’area del Mediterraneo.
Corallo Sardegna: la leggenda sulla nascita di un gioiello del mare
Secondo Ovidio, tra i principali esponenti della letteratura latina, il corallo rosso sarebbe nato dal sangue di Medusa.
Medusa, la più famose tra le tre Gorgoni, era un mostro in grado di pietrificare con lo sguardo chiunque la guardasse direttamente negli occhi. L’unico in grado di sconfiggerla fu Perseo che, aiutato da Atena, riuscì a decapitare Medusa dal cui collo nacquero il cavallo alato Pegaso e il gigante Crisaore.
Il mito narra che Perseo, nel suo viaggio di ritorno verso casa, vide incatenata a uno scoglio una fanciulla nuda e bellissima: Andromeda. Condannata ad essere divorata da un terribile mostro marino, a causa della vanità di sua madre, Andromeda era ormai rassegnata alla sua sorte quando Perseo si offrì di liberarla in cambio della sua mano.
Il giovane utilizzò la testa di Medusa per pietrificare il mostro e quando la posò su uno scoglio, il sangue della gorgone entrò in contatto con la schiuma creata dalle onde del mare e pietrificò alcune alghe che assunsero la colorazione rossa tipica del corallo.
Il Vasari, tra i più importanti pittori italiani del Cinquecento, cita la storia della nascita del corallo nella descrizione del suo celebre quadro Perseo e Andromeda e scrive: “(…) dov’è Perseo, che sciogliendo Andromeda, nuda allo scoglio marino, et havendo posato in terra la testa di Medusa, che uscendo sangue dal collo tagliato, et imbrattando l’acqua del mare, ne nascieva i coralli”.
La pesca del corallo in Sardegna: una storia antica e ricca di fascino
Il corallo di Sardegna è uno dei più pregiati del Mediterraneo e viene forato per ottenere collane e bracciali o montato su oro e argento per la creazione di splendidi gioielli.
La pesca, la lavorazione e la commercializzazione del corallo in Sardegna sono attività dalla storia millenaria: sembra infatti che l’oro rosso venisse raccolto, e successivamente esportato in Oriente, già all’epoca della dominazione cartaginese. Tuttavia, secondo lo studioso Giovanni Tescione, i sardi avrebbero iniziato a pescare corallo sin dal Neolitico e a dimostrarlo sono i numerosi reperti, risalenti al periodo fenicio-punico, ritrovati in alcuni siti archeologici come quelli di Tharros e di Nora.
I reperti della civiltà fenicio-punica testimoniano che il corallo veniva utilizzato per la confezione di amuleti, una pratica confermata anche dall’archeologo Giovanni Pesce che scrive: “Amuleti possono considerarsi anche le palline in pietra dura (cristallo di rôca, etc) o in corallo o in pasta vitrea, infilate a formare collane o braccialetti”.
La pesca del corallo in Sardegna proseguì anche in età romana, periodo in cui lo splendido gioiello del mare veniva utilizzato allo stato grezzo e indossato principalmente dalle donne. All’epoca romana risalgono i circa tre chili di corallo naturale ritrovati nello scavo del teatro-tempio a Cagliari, un tempio databile al II secolo a.C. e dedicato al culto di Venere e Adone.
La raccolta e il commercio di corallo proseguirono anche nel periodo bizantino ma i primi documenti ufficiali sulla pesca del Corallium rubrum risalgono solo al XIII secolo, mentre sono scarse le notizie sull’attività di raccolta da parte dei sardi durante l’età medioevale. Al contrario, sono numerose le informazioni relative alla presenza in Sardegna di pescatori e commercianti di corallo Marsigliesi, Provenzali, Pisani e Genovesi attratti dalla ricchezza dei banchi coralliferi isolani.
In età moderna, l’attenzione verso il corallo non diminuì e la preziosa materia cominciò ad essere utilizzata in vari campi: dalla gioielleria, sia sacra che profana, all’arredamento e fino all’arte ornamentale.
Nel Cinquecento, la presenza del corallo nelle coste sarde è descritta anche dallo storico Giovanni Francesco Fara: “Dal mare della Sardegna proviene un corallo assai stimato, nero e rosso, che chiamano antifate. Nasce sott’acqua dove ramoso con la radice tra le rocce diventa erba verdeggiante, ma una volta estratto indurisce in pietra preziosa. Ce n’è una quantità ingente lungo il tratto di mare di Bosa, Alghero e di Sassari presso il Monte Girato e l’Asinara. Ogni anno nei mesi di aprile maggio, giugno, luglio e agosto, quando il mare non è agitato dalle tempeste, esso viene strappato con le reti da un gran numero di imbarcazioni; Viene anche estratto tra la Sardegna e la Corsica e nel golfo di Cagliari presso Capo Carbonara, e in altri luoghi (…)”.
Per pescare il corallo, le imbarcazioni citate nello scritto di Fara utilizzavano il cosiddetto “ingegno”, ovvero un attrezzo costituito da due grosse assi di legno disposte a croce da cui pendevano grappoli di reti da pesca. L’ingegno veniva calato in mare e tirato su e giù per fare in modo che i rami di corallo restassero impigliati nelle reti così da poterli strappare via dagli scogli.
Nella seconda metà del Novecento, quando le barche diventano più grandi e le vele vengono sostituite dal motore, l’ingegno cambia aspetto: le due assi di legno lasciano il posto a un unico grande asse in acciaio a cui vengono attaccati pezzi di rete. Una volta calato in mare, l’attrezzo veniva trascinato lungo il banco corallino per strappare i rami di corallo attaccati agli scogli.
Oggi, l’uso dell’ingegno e di attrezzi simili è severamente vietato e per tutelare l’habitat marino la pesca del corallo in Sardegna è consentita solo a 30 pescatori subacquei professionisti, muniti di regolare licenza, a profondità non inferiori a 80 metri e nel periodo compreso dal 1° maggio al 15 ottobre.
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